ANDREA ZANZOTTO
***
LA VITA SILENZIOSA
I
Sediamo insieme ancora
tra colli, nella domestica selva.
Tenere fronde dalle tempie scostiamo, soli e cardi e vivaci prati scosto
da te, amica. O erbe che salite verso il buio duraturo, verso qui omnia vincit.
E venti estinguono e rinnovano a ogni volgere d’ore e d’acque le anime nostre.
Ma noi sediamo intenti
sempre a una muta fedele difesa. Tenera sarà la mia voce e dimessa ma non vile,
raggiante nella gola
- che mai l’ombra dovrebbe toccare - raggiante sarà la tua voce
di sposalizio, di domenica.
Non saremo potenti, non lodati, accosteremo i capelli e le fronti a vivere
foglie, nuvole, nevi.
Altri vedrà e conoscerà: la forza
d’altri cieli, di pingui reintegratrici
atmosfere, d’ebbri paradossi, altri moverà storia
e sorte. A noi
le madri nella cucina fuochi poveri vegliano, dolce
legna in cortili cui già cinge il nulla colgono. Poco latte
ci nutrirà finché stolti amorosi inutili
la vecchiezza ci toglierà, che nel prossimo campo le mal fiorite aiole
prepara e del cuore
i battiti incerti, la pena e l’irreversibile stasi.
II
Ma tu conoscerai del mio sorriso l’implorazione ferma
nei millenni come una ferita, io del tuo l’alba a ogni alba. Germoglio lieve ti conoscerò:
quanto aprirai, quanto ci appagherai di lievi avvenimenti.
Droghe innocue, bufere di marzo; orti d’iridi e di cera, sinecure
per menti e mani molli d’allergie; letture su pulviscoli d’estati,
letture su piogge, tra spine infinite di piogge.
Talvolta Urania il vero
come armato frutto ci spezzerà davanti: massimi cieli,
voli che la notte solstiziale riattizza, gemme di remotissimi odî e amori, d’idrogeno sfolgorante fatica:
deposti qui nell’acqua di un pianeta per profili di colchici e libellule.
2
Forse alzerò fino a te le mie ciglia fino a te la mia bocca cui l’attesa alterò dire, esistere.
E anche nella terra,
domani, l’ultimo mio indizio inazzurrirà di stellati entusiasmi, di veloci convulse speranze.
Avremo lontananze capovolte specchi che resero immagini rubate fiori usciti da mura ad adorarti.
Saremo un solo affanno un solo oblio.
***
FILÒ PER IL CASANOVA DI FELLINI
L'ora illanguidisce nella cenere dello scaldino,
è l'ora di andarsene, di lasciare il calduccio del covo.
Ma dalle poche braci di quaggiù,
se i fili se i fili
del sogno e della ragione tra loro si fileranno,
lassù, nei dintorni del tirar vento di stelle
si accenderanno i nostri mille parlari e pensieri nuovi
in un parlare che sarà uno per tutti,
fondo come un baciare,
aperto sulla luce, sul buio,
davanti la mannaia piantata nel buio
col suo taglio chiaro, appena affilato da sempre.
**
Dicevano,
a Padova, "anch'io"
gli amici "l'ho conosciuto".
E c'era il romorio d'un'acqua sporca
prossima, e d'una sporca fabbrica:
stupende nel silenzio.
Perché era notte. "Anch'io
l'ho conosciuto".
Vitalmente ho pensato
a te che ora
non sei né soggetto né oggetto
né lingua usuale né gergo
né quiete né movimento
neppure il né che negava
e che per quanto s'affondino
gli occhi miei dentro la sua cruna
mai ti nega abbastanza
E così sia: ma io
credo con altrettanta
forza in tutto il mio nulla,
perciò non ti ho perduto
o, più ti perdo e più ti perdi,
più mi sei simile, più m'avvicini.
**
**
da "Dietro il paesaggio"
Leggeri
ormai sono i sogni,
da tutti amato
con essi io sto nel mio paese,
mi sento goloso di zucchero;
al di là della piazza e della salvia rossa
si ripara la pioggia
si sciolgono i rumori
ed il ridevole cordoglio
per cui temesti con tanta fantasia
questo errore del giorno
e il suo nero d'innocuo serpente
Del mio ritorno scintillano i vetri
ed i pomi di casa mia,
le colline sono per prime
al traguardo madido dei cieli,
tutta l'acqua d'oro è nel secchio
tutta la sabbia nel cortile
e fanno rime con le colline
Di porta in porta si grida all'amore
nella dolce devastazione
e il sole limpido sta chino
su un'altra pagina del vento.
***
Perché
siamo al di qua delle Alpi
su questa piccola balza
perché siamo cresciuti tra l’erba di novembre
ci scalda il sole sulla porta
mamma e figlio sulla porta
noi con gli occhi che il gelo ha consacrati
a vedere tanta luce ed erba
Nelle mattine, se è vero
Di tre montagne trasparenti
mi risveglia la neve;
nelle mattine c’è l’orto
che sta in una mano
e non produce che conchiglie,
c’è la cantina delle formiche
c’è il radicchio, diletta risorsa
profusa alle mie dita
a un vento che non osa disturbarci
Ha sapore di brina
la mela che mi diverte,
nel granaio s’adagia un raggio amico
ed il vecchio giornale di polvere pura;
e tutto il silenzio di musco
che noi perdiamo nelle valli
rende lento lo stesso cammino
lo stesso attutirsi del sole
che si coglie a guardarci
che ci coglie su tutte le porte
O mamma, piccolo è il tuo tempo,
tu mi vi porti perch’io mi consoli
e là v’è l’erba di novembre,
là v’è la franca salute dell’acqua,
sani come acqua vi siamo noi;
senza azzurra sostanza
vi degradano tutte le sieste
cui mi confondo e che sempre più vanno
comunicando con la notte
Né attingere al pozzo né alle alpi
né ricordare come tu non ricordi:
ma il sol che splende come cosa nostra,
ma sete e fame all’ora giusta
e tu mamma che tutto
sai di me, che tutto hai tra le mani
Con la scorta di te e dell’erba
e di quella lampada precaria
di cui distinguo la fine,
sogno talvolta del mondo e guardo
dall’alto l’inverno del nord.
da "Dietro il paesaggio"
Nei
luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.
Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell'Austria.
Hanno fatto l'aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sua soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.
Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.
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