LO STRANO CASO DEL DOTTOR MALUS

tra rituali magici e scoperte scientifiche impreviste

 

da “PER UN’ECOLOGIA DELLE RELAZIONI” Paolo Borsoni – Alta Via 2021

 

 

  

MAPPA

 

Seduto alla scrivania della sua stanza, il dottor Malus è immerso, come al solito, in pensieri complessi, sta tentando di risolvere quesiti del tutto incomprensibili per la stragrande maggioranza dei suoi concittadini di Parigi. Siamo nell’anno del Signore 1809.

(Questa non sarà una giornata qualsiasi per il dottor Malus.)

Lì accanto sopra una mensola vicino alla finestra è appoggiato un cristallo.

Con le sue riflessioni e i suoi calcoli, Malus cerca di penetrare a fondo nei segreti più reconditi e strani della natura.

In attesa che egli giunga a qualche risultato significativo con i suoi ragionamenti, noi abbiamo tutto il tempo per fare un piccolo giro d’orizzonte a volo d’aquila su varie parti del globo in questo preciso istante di due secoli fa.

In questo momento, siamo nel 1809, a Damasco il pio Muhammad Ar-Rahman con scrupolosa lentezza si sta togliendo le scarpe: è un atto dovuto per entrare nella moschea degli Omayadi.

Con altrettanto scrupolo a Varsavia, contemporaneamente, il pio Moshe Singer si sta aggiustando il cappello per fare il suo ingresso “come si deve” nella Sinagoga Centrale della grande città polacca.

A Roma in quello stesso attimo il signor Evangelisti si toglie il copricapo e la moglie devota si mette un velo all’entrata della basilica di Santa Maria Maggiore.

In un’arida regione dell’Africa un ragazzino Ottentotto al culmine della sua iniziazione alla vita adulta compie l’unione rituale con la madre perché attraverso il possesso attivo della madre avvenga il necessario distacco dal mondo infantile.

Sono sorprendenti i rituali umani. Una delle varietà più emblematiche è quella delle regole sul matrimonio: certi popoli lo vietano tra parenti lontanissimi, altri lo incoraggiano tra cugini carnali; presso alcune popolazioni agli zii è consentito impalmare le nipoti; in varie parti del globo sarebbe uno scandalo il matrimonio tra il patrigno e la figliastra acquisita, ma questo tipo di unione viene considerato perfettamente legittimo presso alcune tribù dell’Africa.

Sia i modi di entrare in un tempio e quindi di porsi in contatto con la divinità sia le norme che regolano le unioni matrimoniali e sessuali, e quindi di entrare in relazione coi propri simili, mettono in luce una molteplicità di possibilità. Le norme e i rituali umani possono essere diversi da popolazione a popolazione, addirittura contrastanti, anche quando si ispirano a problemi simili, a medesimi quesiti esistenziali e sociali.

Ciascuna popolazione rispetto ad alcuni nodi basilari della convivenza sociale elabora una struttura caratteristica di comportamenti; a tali problematiche associa credenze singolari, norme, alcune sequenze di gesti, di movimenti, che potrebbero anche essere diverse, ma che una volta fissate risultano sorprendentemente durature, stabili, inalterabili per secoli, se non per millenni.

Tali tradizioni, usanze, rituali vengono innervate da significati emotivi e inconsci, da principi morali, tanto che la trasgressione e l’inosservanza delle regole tramandate diventano fonte di disapprovazione, di emarginazione sociale, sinonimo di colpa, di peccato e a volte, nei casi estremi, di pazzia o di atto meritevole della morte.

I rituali costituiscono complessi di asserzioni metaforiche e di istruzioni sull’organizzazione della vita e si riferiscono alle relazioni sociali e ai rapporti con la natura. I rituali fanno parte dell’Ideostruttura di una società.

Prendiamo in considerazione i rituali più direttamente legati all’ambito magico.

La magia, secondo James Frazer, costituisce una “pseudoscienza applicata” che si occupa di relazioni causa-effetto: le relazioni supposte di causa-effetto sono false, ma contengono una logica, riconoscono e trattano somiglianze, vicinanze, contatti, possibilità di spiegazioni di fenomeni importanti.

Secondo l’interpretazione di Bronislaw Malinowski, la magia invece è una risposta al senso di impotenza dell’uomo di fronte a un mondo che sfugge al suo controllo; la magia serve a rassicurare e a sopportare meglio una condizione di incertezza, di insicurezza esistenziale. Gli abitanti delle isole del Pacifico quando pescano all’interno delle lagune non usano incantesimi e amuleti, ma vi fanno ricorso ampiamente quando vanno a pescare fuori della barriera corallina dove le barche possono affondare, venire spazzate via dal vento e dalle forti ondate con il pericolo dei pescecani in perenne agguato.

Ciò ovviamente non indica una legge generale di dipendenza crescente degli esseri umani dai rituali magici man mano che crescono le difficoltà e man mano che si infittiscono i pericoli dall’ambiente, altrimenti gli Eschimesi, che vivono in luoghi molto più inospitali della Melanesia, dovrebbero far ricorso ai rituali e alle formule magiche molto più spesso di quanto non facciano. Gli Eschimesi sopravvivono perché adottano tecniche capaci di ricondurre effettivamente a casa vivi i cacciatori dal mare aperto e dalle distese di ghiaccio, con accorgimenti pratici capaci di uccidere realmente le foche che essi avvistano.

Emile Durkheim propone un’interpretazione della magia ancora diversa: secondo Durkheim i popoli primitivi con i loro riti, sacrifici, tabù, adorano in realtà i vincoli della loro società e le istituzioni della loro cultura. I totem, gli antenati, i luoghi consacrati, gli strumenti sacri, i misteri fanno parte di un’ecologia sociale; sono in filigrana i simboli aggregativi della società tribale del passato, del presente e del futuro, costituiscono una celebrazione del suo felice adattamento all’ambiente mediante l’accesso a relazioni mistiche con l’universo, in sostanza il magma culturale della magia è una fonte di coesione sociale. La magia, i rituali magici costituiscono il collante di una popolazione.

In un’ulteriore interpretazione, per Gregory Bateson la magia risponde a un bisogno religioso profondo, essa esprime la volontà di affermare l’appartenenza all’ecologia delle verità eterne della vita e dell’universo. I rituali servono a mantenere e a ricomporre l’unità del gruppo con le forze della natura, con le divinità, con gli antenati. Nella situazione opposta, nel distacco dalla natura, dalle divinità, dagli antenati, c’è il distacco dal gruppo, lo scontro con le divinità, la contrapposizione alle forze della natura, la rottura con gli antenati, con le tradizioni, con la storia.

Dietro questa dialettica unità/separazione può essere letta l’alternativa sopravvivenza/estinzione. In un rapporto fluido, ricco di relazioni e di comunicazioni tra sistema e ambiente, sorgono la vita e l’energia vitale con le possibilità di sopravvivere e di riprodursi. In un isolamento senza relazioni, senza comunicazioni tra sistema e ambiente c’è la fine dell’energia vitale ovvero la morte.

Ma torniamo al dottor Étienne-Louis Malus.

È sempre seduto alla sua scrivania a Parigi, chino a studiare i suoi libri.

Avviciniamo piano alle sue spalle, scrutiamo che cosa stia facendo. È chino su libri pieni di formule, di disegni, di argomentazioni sulla rifrazione dei raggi di luce. Ottica!

Lasciamolo a queste sue ricerche di ottica e riprendiamo la ricognizione a volo d’aquila sul mondo del 1809.

In America possiamo osservare le “strane” attività di due tribù indigene della California: gli Yurok e i Karok.

Queste due tribù abitano vicino a un fiume, capace di fornire salmoni in abbondanza in un clima mite con una terra ricca di ghiande. L’alimento principale di queste due popolazioni che per secoli e secoli non sono mai state minacciate da nemici esterni o da pestilenze è proprio dato da una combinazione di salmoni e di ghiande.

(Siamo agli albori del 1800: dietro l’angolo c’è un pericolo assolutamente inaspettato per queste popolazioni, un pericolo che sarà devastante. Saranno inutili per loro sia i salmoni sia le ghiande sia i rituali sacri).

Rispetto al resto della California, gli Yurok e i Karok hanno alimentazione più abbondante, una popolazione più densa, eppure, nella loro storia, sono tribù che si sono legate a un migliaio di stranissimi e singolari precetti e divieti magici: non mangiano in barca sul mare né sulla lingua di terra alla foce del fiume, non mangiano prima di andare a caccia o di cominciare una giornata di lavori, non mangiano nello stesso pasto le carni di due animali diversi, cervo, balena, orso, salmone; dopo aver mangiato carne di cervo è obbligatorio lavarsi le mani in un canestro ma non nel fiume; ci si può accoppiare con la moglie nella boscaglia o nell’accampamento ma non in casa, per non offendere le conchiglie-monete che altrimenti sparirebbero; l’arco deve essere fatto con il legno del tasso (conifera) preso dal lato opposto alla direzione del fiume. E così via senza limiti.

Nessun bisogno direttamente legato a problemi di vita o di morte, sta alla base di queste norme, di questi rituali; nessun evento decisivo essenziale detta la loro scelta: quelle norme potrebbero essere opposte, l’arco potrebbe essere costruito con il legno di quercia scelta in direzione dei monti, ma nulla cambierebbe per la sopravvivenza degli Yurok e dei Karok.

La cultura che le esprime è diventata ipocondriaca: tutti i membri della società vengono condizionati fin dall’infanzia al timore e al pessimismo. Gli anziani, generazione dopo generazione, insegnano che il mondo è soprattutto pieno di mali e di pericoli contro cui occorre difendersi mediante una serie infinita di tabù e di pratiche magiche.

(Non basteranno questi rituali ad esorcizzare ciò che sta per sconvolgere la storia di queste tribù. Esorcismi, formule magiche non saranno sufficienti a preservare la nicchia ecologica che per secoli e secoli queste popolazioni si erano ritagliate in un ecosistema a loro favorevole ma che alla fine del diciassettesimo secolo sarà sconvolto dall’arrivo di strani individui giunti da molto lontano, dai modi di fare del tutto diversi, dai rituali strani e soprattutto con una tecnologia assolutamente più avanzata degli archi di qualsiasi albero).

Gli Yurok e i Karok nella loro storia, cioè fino al 1800, non hanno dovuto scontrarsi con un ambiente naturale selettivo “duro”. Proprio per questo hanno potuto sviluppare e conservare nel tempo una moltitudine di precetti bizzarri, che risultano a un giudizio spassionato inutili ma che evidentemente si sono dimostrati utili a mantenere uno stato di equilibrio interno all’organizzazione sociale.

In tutti i tipi di rituali, le sequenze di gesti, di movimenti, di scelte e in generale il numero effettivo di esorcismi, di genuflessioni, di parole da ripetere potrebbero anche essere diversi; la funzione del rituale non cambierebbe. Ma una volta che queste sequenze di gesti, di movimenti, di scelte, il numero di parole da ripetere e di genuflessioni da compiere, sono stati fissati, essi rimangono stabili nel tempo ed entrano a far parte della vita e del modo di comportarsi di una persona all’interno di una popolazione, dell’ecologia di quella società.

Gli insieme di rituali, con le loro regole, norme, pratiche, si modellano prioritariamente attorno alle caratteristiche fondamentali dell’ambiente in cui sono inserite le persone, i gruppi che esplicano tali comportamenti ritualizzati. L’ambiente determina le condizioni, le possibilità su cui si dipana una “tela di ragno” di specifiche forme di comportamento, una “tela di ragno” che ha una propria logica di fondo, in qualche caso sconcertante.

Alcune caratteristiche culturali degli Eschimesi non avrebbero mai potuto affermarsi e consolidarsi in America Centrale o in Perù. La “tela di ragno”, la “mappa”, l’”ideostruttura” una volta stabilizzate, divengono esse stesse struttura in grado di indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, lo sviluppo culturale e sociale. La “tela di ragno” non raramente si estende e si sviluppa in un vicolo cieco, dove ogni ulteriore progresso è precluso e drasticamente ostacolato. Tale possibilità si realizza soprattutto in situazioni di isolamento geografico e linguistico; l’isolamento impedisce rapporti con l’esterno, non permette nuovi fili conduttori di stimoli sociali e culturali, relazioni con persone diverse, con gruppi sociali diversi, con prospettive di vita alternative, con soluzioni tecnologiche migliori, con punti di vista differenti.

Ogni evoluzione ha alla sua base una sequenza di tentativi, di errori, di prove ripetute e fallite, una selezione di scelte.

Allorché esiste uno scambio continuo tra sistema e ambiente, tra un popolazione e altre popolazioni, esiste anche la possibilità di venire in contatto con nuove prospettive, nuovi modi di porre i problemi, nuove “mappe” del reale, nuove soluzioni dei problemi, ideostrutture diverse, tecnologie più avanzate.

Il linguaggio svolge un ruolo essenziale di collegamento e di connessione tra le diverse mappe delle diverse popolazioni.

La cultura degli aborigeni australiani è rimasta la più lontana, la più isolata da tutti gli altri continenti. Nel 1800 era priva dell’agricoltura, di strutture più avanzate delle capanne di sterpi, priva di strumenti elementari quali l’arco, la terracotta e nella maggior parte dei casi non aveva neppure le imbarcazioni. L’isolamento geografico ha fortemente ostacolato uno sviluppo culturale e sociale di queste popolazioni.

Torniamo dal dottor Étienne-Louis Malus. A Parigi i questo momento il pomeriggio di sole è ravvivato dal suono delle campane, dal volo a stormo delle rondini. Si avvicina il tramonto ed è bellissimo. Malus nella sua stanza si è finalmente alzato dalla scrivania, un po’ di moto fa sempre bene. Ha distolto gli occhi dai suoi libri, dalle sue letture che sono incomprensibili ai più. La sua mente è profondamente pervasa da riflessioni complesse, da congetture ardite sull’Ottica. In questo momento prende in mano distrattamente il cristallo che era posato come soprammobile sulla mensola della sua credenza. Compie questa azione senza alcuno scopo. Il suo atto non ha una motivazione precisa. È un gesto gratuito, non finalizzato ad alcun risultato. Del tutto soprappensiero Malus continua a rigirare il cristallo in mano come se fosse un giocattolo…

Affrettiamoci! Abbiamo ora veramente pochissimo tempo per fare un’ultimissima escursione su altri parti della terra nel nostro volo radente sul mondo del 1809. Dobbiamo andare velocissimi perché il dottor Malus guarda il cristallo e sta pensando. Nel suo cervello stanno già frullando e combinandosi idee strane; neuroni lontanissimi si stanno collegando!

Sull’isola di Southampton nella baia di Hudson, a nord dell’America Settentrionale, oggi è freddissimo. Qui, in questo anno del Signore, abita un gruppo eschimese la cui cultura ha perduto l’uso delle barche. Questi Eschimesi, con il loro isolamento e la loro perdita dell’uso delle imbarcazioni sono tagliati fuori dai contatti con l’esterno e da relazioni con altri popoli dell’artico. Per la caccia lungo la costa usano un espediente sostitutivo delle barche: pelli di foca gonfiate, che cavalcano in mare, ma con cui possono catturare soltanto piccole foche. I loro attrezzi non assomigliano a quelli degli altri Eschimesi occidentali della Groenlandia, perché rappresentano una forma alquanto deteriorata di una fase primitiva della cultura eschimese chiamata Thule. Questa fase era fiorente nell’Artico Americano intorno al 1000-1300 d.C., in seguito venne soppiantata dalla più moderna e sviluppata cultura eschimese e dall’uso sempre più evoluto delle imbarcazioni. La massima risorsa di questo gruppo appartato dell’isola di Southampton, privo di barche, è un branco di renne selvatiche vaganti. Se il branco dell’isola si riducesse a causa di malattie o se venisse mangiato completamente in una stagione particolarmente gelida, questi Eschimesi prima o poi sarebbero condannati alla fine. Ciò purtroppo avvenne effettivamente nel 1902, quando moriranno tutti di fame.

Possiamo avanzare un’ipotesi: la cultura che sopravvive, si consolida e si espande è la cultura della popolazione che sopravvive proprio perché il suo bagaglio di regole, di norme, di scelte, di tecnologia, ovvero la sua mappa del reale, la sua ideostruttura, in qualche modo è un sistema informativo adeguato a reggere il confronto e il peso delle difficoltà dell’ambiente e dei rapporti con altre società.

Così come per i rituali, anche i comportamenti che definiscono alcune tecnologie possono avere la loro matrice in una pluralità di scelte, in una molteplicità di possibilità tra opzioni diverse, in alcuni casi addirittura tra loro contrastanti.

Intagliare, segare, piallare e molte altre operazioni eseguite con utensili vengono praticate in generale secondo due movimenti: o spingendo o tirando. I falegnami giapponesi tirano a sé la pialla con moto centripeto. L’operaio occidentale allontana la pialla dalla propria persona con moto centrifugo. Un sistema vale l’altro. Ma una volta che una data modalità si sia consolidata è quasi impossibile che un dato individuo sia altrettanto capace e immediatamente abile se sostituisce a questa manovra quella opposta. Potrà cercare di imparare l’abitudine nuova, ma nel frattempo il suo lavoro equivarrà a quello di un principiante.

Di solito i cambiamenti in questi campi tecnici non comportano vantaggi, anzi è ovvio che riescono svantaggiosi, perché cala temporaneamente la qualità del lavoro. Quindi il cambiamento è difficile che avvenga e l’individuo resta legato alla prima serie di abitudini che si stabiliscono ed è anche probabile che le trasmetterà ai propri apprendisti ed allievi così come le aveva apprese dai lavoratori più anziani. In questo modo non solo presso una certa popolazione predomina una certa abitudine e quella contraria presso un’altra, ma tali abitudini opposte possono durare per secoli, per millenni.

Nelle culture umane vi sono alcune persistenze che ricordano la formazione delle abitudini individuali. Nell’antico Perù, nelle regioni della costa orientale le popolazioni presero l’abitudine di fare vasellame col fondo arrotondato, mentre nelle regioni settentrionali invece venivano preferite i fondi piatti. Queste differenze furono conservate fedelmente per secoli finché si continuò a produrre la ceramica in Perù. Ambedue le regioni crearono vasi con becchi tubolari come manici in forma di staffa, ma con fondi diversi, una caratteristica che durò per tutta la storia della ceramica peruviana.

Nell’antico Messico meridionale e nell’America centrale invece le abitudini presero la direzione di ciotole, di pentole, di barattoli, con treppiedi. Questa forma di treppiede presenta alcuni vantaggi pratici rispetto alle pentole quando si tratta di mettere sul fuoco i recipienti, ma presso gli abitanti dell’America centrale diventò una vera e propria corrente stilistica: quella forma veniva applicata anche a recipienti mai messi sul fuoco, come dimostrano la forma e gli ornamenti di pentole decorative, in questi casi i piedi erano appendici prive di funzione.

Dal punto di vista dell’armonico funzionamento delle varie culture era completamente indifferente che le ceramiche possedessero becchi o treppiedi o nessuno dei due e fossero a fondo piatto o arrotondato. Eppure, avendo scelto l’uno o l’altro stile, i vasai peruviani e messicani vi aderirono per secoli, durante i quali altre forme ben più importanti del governo, delle tecnologie, dell’alimentazione, subirono cambiamenti radicali.

Se le forme culturali, le soluzioni tecnologiche adottate da una popolazione non sono adeguate a reggere il confronto con le difficoltà presentate dall’ambiente, quella popolazione scompare e si estingue anche la sua ideostruttura e la sua cultura ovvero le scelte di rituali, di norme, di soluzioni tecnologiche.

Nelle società animali l’affermazione dei principali modelli di comportamento è direttamente dipendente dalla selezione naturale: solo i modelli di comportamento, che garantiscono sopravvivenza per chi li esplica, sopravvivono con i loro attori-agenti e con la loro popolazione.

Anche i rituali, i tabù, gli esorcismi, le soluzioni tecnologiche, le regole di comportamento, vengono in primo luogo selezionati dal confronto con l’ambiente naturale in cui una popolazione è inserita. Se i modelli di comportamento direttamente legati ai problemi di sopravvivenza hanno sempre come riferimento diretto la logica della vita o della morte, i modelli di comportamento che si sviluppano al di là dei problemi di sopravvivenza, al di fuori della selezione ambientale, possono assumere caratteristiche inedite, singolari, a volte assurde. Allorché un modello culturale risponde in qualche modo alle esigenze imposte dall’ambiente, ovvero semplicemente non collide con esse, come nel caso degli Yurok e dei Karok, tale modello culturale può stabilizzarsi, divenire fattore di integrazione sociale, di autorità, di carisma, di potere.

Ma torniamo al dottor Étienne-Louis Malus. Sta muovendo con attenzione studiata facendolo ruotare il piccolo cristallo, quel semplice soprammobile di pura bellezza nella sua stanza. Prima lo rigirava distrattamente tra le dita. Ma ora lo muove con accorta lentezza. “Per caso” ha fatto un’osservazione. Lo sta facendo ruotare seguendo un ragionamento.

“Per caso” guardando attraverso il cristallo l’immagine del sole riflessa dalla finestra di fronte, Malus ha notato che la doppia immagine, formata di solito dal cristallo, non è sempre presente! Essa scompare quando il cristallo viene ruotato in una certa posizione, con un certo angolo. Poi la doppia immagine riappare. Malus muove il cristallo e constata più volte questo fenomeno inatteso.

Un profano probabilmente penserebbe che il fenomeno è strano, ma non ne farebbe niente. Un artista penserebbe che è affascinante, prenderebbe il pennello e tratteggerebbe la scintilla di luce appena brillata su un dipinto oppure se è un poeta comporrebbe una poesia su quella luce che ha improvvisamente sorpreso il suo animo nel suo apparire e sparire.

Ma Étienne-Louis Malus non è un poeta pervaso di versi sublimi non è un pittore, non è un artista, ha la testa piena di calcoli matematici sui problemi di Ottica, il suo cervello è saturo di equazioni sugli argomenti che riguardano la rifrazione della luce. E in questo momento faticosamente, confusamente dentro il suo cervello si stanno confrontando, sintetizzando, delineando le coordinate fondamentali di una teoria essenziale per la spiegazione della natura: la polarizzazione della luce.

Il grado di esperienza, i problemi predominanti, i pensieri ricorrenti sono ciò che determina il modo e il punto di vista attraverso i quali verrà esaminato un certo fenomeno, un evento al quale si assiste casualmente.

La contemporaneità di alcune invenzioni, il modo improvviso in cui sono state concepite alcune teorie scientifiche suggeriscono che anche nel campo scientifico è essenziale una dinamica caratterizzata dalla combinazione del caso e della selettività, ovvero da un processo stocastico.

In greco stochazein significa “tirare al bersaglio con l’arco”, in senso metaforico: diffondere gli eventi in modo parzialmente casuale sicché alcuni di essi abbiano un esito più favorevole.

Se una sequenza di eventi combina una componente casuale con un processo selettivo, in modo che solo certi risultati possano perdurare nel tempo, tale successione viene definita stocastica.

Il modo inaspettato, imprevisto di arrivare a importanti scoperte è stato tutt’altro che raro nella storia della scienza.

Nel 1928 Alexander Fleming era assorto in una ricerca che non avrebbe portato a risultati futuri. Nel suo lavoro lasciò da parte per caso una pila di vetreria sporca su cui erano presenti dei batteri.

Mentre Fleming continuava giorno dopo giorno la sua ricerca che successivamente si sarebbe rivelata infruttuosa, sulla vetreria abbandonata per caso cominciarono a crescere delle muffe.

Fleming, nonostante fosse nel mezzo della sua ricerca, quella su cui si era concentrato, quella dalla quale pensava, sbagliando, di ottenere buoni risultati, pose l’occhio per caso su quella strana muffa e si accorse che i batteri non crescevano vicino a una specifica muffa.

Questo fatto lo incuriosì. Continuò ad occupargli marginalmente la mente. Andò avanti nella sua ricerca, che a posteriori sarebbe risultata del tutto inutile, una vera perdita di tempo! Ma nel suo cervello intanto quasi da sola si imponeva una domanda: “Perché i batteri non crescono vicino a quella muffa?”.

All’improvviso Fleming interruppe la ricerca su cui era impegnato. L’osservazione di quello che stava accadendo su quella vetreria sporca e abbandonata per caso conquistò la sua attenzione. Quale bizzarra relazione stava avvenendo tra quei batteri e quella muffa? Perché quei batteri venivano neutralizzati dalla muffa in quella vetreria abbandonata in quell’angolo?!

Fleming aveva studiato i microrganismi per anni. Fu un caso, un puro caso, che quella muffa fosse nella vetreria abbandonata a contatto con i batteri. Ma la cosa decisiva fu che Fleming fosse preparato ad interpretare quel fenomeno, pronto a selezionare tra le migliaia di informazioni, di spiegazioni, di osservazioni possibili su quell’evento l’osservazione fondamentale: quella che avrebbe portato alla scoperta della penicillina.

Altrettanto inattesa e imprevista fu una scoperta sulla struttura del cervello ad opera di James Olds e Peter Milner nel 1953.

Scrisse Olds nella relazione presentata all’Università del Nebraska: “Mentre raccoglievamo ulteriori informazioni sul sistema reticolare attivante, usammo elettrodi impiantati stabilmente nel cervello di un ratto sano e attivo. In modo del tutto accidentale, piantammo un elettrodo nella regione della commessura anteriore di un ratto. Il risultato fu alquanto stupefacente. Quando il ratto veniva stimolato in quella zona specifica in campo aperto, qualche volta si allontanava, ma poi ritornava sul posto e cominciava ad annusare, e più veniva stimolato in quel punto, più tempo vi rimaneva. In seguito scoprimmo che lo stesso ratto poteva essere spinto verso qualsiasi angolo del labirinto con un piccolo stimolo elettrico in quel punto dopo ciascuna risposta corretta. Il procedimento era simile al gioco dell’acqua e del fuoco che si fa con i bambini: ciascuna risposta corretta era seguita da impulsi elettrici nel punto della commessura anteriore grazie ai quali il ratto capiva che era sulla strada giusta. Più avanti lo stesso ratto venne introdotto in un labirinto sopraelevato a forma di T e siccome all’inizio aveva preferito voltare a destra, con uno stimolo elettrico opportuno venne obbligato a voltare a sinistra al termine della svolta. Dopo tre prove, il ratto svoltò a sinistra di corsa, per dieci volte, solo per ricevere lo stimolo elettrico. A quel punto, smettemmo di stimolarlo quando voltava a sinistra e lo obbligammo a voltare a destra per sei volte servendoci sempre dello stesso stimolo elettrico. Dopo queste sei prove il ratto svoltò a destra per dieci volte consecutive in modo da ricevere lo stimolo elettrico e in tutto questo tempo non gli venne mai offerto del cibo. Terminato l’esperimento, il ratto venne lasciato a digiuno per ventiquattro ore, poi si mise del cibo in entrambi i lati della T e si obbligò l’animale a svoltare due volte da ciascun lato somministrandogli lo stimolo elettrico solo quando voltava a sinistra. Il topo svoltò allora per dieci volte a sinistra fermandosi nel punto in cui veniva stimolato senza arrivare al cibo”.

In sostanza: del cibo non gliene importava più niente! Voleva solo le scosse elettriche!

Povero ratto! Che sperimentatori!

Ma fu in questo strano modo che vennero scoperti i “centri del piacere” del cervello.

La scoperta scientifica “casuale” non costituisce l’eccezione che conferma la regola oppure qualcosa di anomalo rispetto a un modo normale di sviluppo della conoscenza, costituisce piuttosto il punto di svolta, proprio per questo più trasparente, in cui si evidenzia la continua combinazione di casualità e di selezione, ovvero il processo stocastico, essenziale anche nel campo della conoscenza.

Scrive Bateson: “Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra? Qual è la struttura che connette tutte le creature viventi?”.

E noi aggiungiamo quale struttura connette gli Yurok, i Karok, gli Ottentotti, il dottor Malus e gli Esquimesi? Essi fanno parte di un’unica rete di relazioni. Vi è un unico sapere che caratterizza tanto l’evoluzione biologica quanto gli aggregati umani. Il conoscere individuale è parte di un più ampio sapere che tiene unito l’universo delle cose viventi. La mente umana è il riflesso di vaste e numerose porzioni del mondo naturale.

Il processo stocastico indica che tanto nell’evoluzione, quanto nel pensiero, il disordine, la sequenza casuale, la molteplicità delle combinazioni hanno un ruolo decisivo accanto ai meccanismi selettivi. Tali meccanismi selettivi danno conto della persistenza nel tempo di una nuova idea come della selezione naturale.

Il modello teorico del processo stocastico può interpretare dinamiche di comunicazione in ogni società. Tra la molteplicità delle forme possibili di incontro, di interazione, di relazione, di cultura, si organizzano stabilmente solo certi specifici tipi di comunicazione e di relazione sociale.

Ciascuna cultura collega, secondo una propria mappa, comportamenti a comportamenti, gesti a gesti, messaggi a messaggi, relazioni a relazioni.

In ogni società, una volta stabilizzati certi tipi di relazione e di comunicazione, solo coloro che fanno proprie e ripetono le forme rituali “normali” di comportamento, i modelli standardizzati di relazione, ricevono approvazione, riconoscimento, “piacere”, “like”. (Senza far ricorso a scariche elettriche).

Da una pluralità di scelte possibili viene a selezionarsi in ogni popolazione una mappa, un’ideostruttura di tipi di relazione e di comunicazione, che costituiscono soluzioni a volte evolute, a volte assurde, a volte geniali, a volte ridicole di problemi di convivenza e di sopravvivenza dell’organizzazione sociale.

Sia i processi di sviluppo della conoscenza, sia l’affermazione di alcune strutture culturali, in particolare i rituali, ma anche le soluzioni tecnologiche, possono essere analizzati attraverso un comune modello interpretativo, il processo stocastico: una successione di eventi che combina una componente casuale con un processo selettivo in modo che solo certi risultati del casuale possano perdurare.

Ma torniamo al dottor Etienne Malus. È tornato al suo tavolo, sta scrivendo le sue prime riflessioni sul fenomeno straordinario e sorprendente che l’ha visto spettatore e protagonista.

Leggiamo il titolo provvisorio: “Théorie de la double réfraction de la lumière dans les substances cristallisées”.

Malus ha intrapreso gli studi sulla birifrangenza per concorrere al premio che l’Accademia di Francia ha bandito nel 1808 col tema: “Dare della doppia rifrazione che la luce subisce nel traversare diverse sostanze cristallizzate, una teoria matematica verificata dall’esperienza”.

Nella sua relazione Malus afferma: «In base alle esperienze che ho descritto, il carattere che distingue la luce diretta (quella che oggi si chiama naturale) da quella che è stata sottoposta all’azione di un cristallo, consiste in questo: che la prima può sempre essere divisa in due fasci, mentre nell’altra questa facoltà dipende dall’angolo compreso tra le sezioni principali dei due cristalli.»

È la scoperta scientifica nota col nome di “Esperienza di Malus”: per dare a un fascio di luce quel tale caratteristico e misterioso stato per cui attraversando un cristallo di spato d’Islanda, in certi orientamenti si ha scomposizione in due fasci e in altri no, non è necessario, come si credeva fino ad allora, che la luce abbia attraversato prima un altro cristallo di spato o comunque birifrangente, basta che abbia subito una riflessione.

Con questa relazione Malus dà un contributo essenziale al dibattito scientifico sulla natura corpuscolare e ondulatoria della luce.

Nel 1810 riceverà il premio messo in palio dall’Accademia di Francia e l’anno successivo la Rumford Medal assegnatogli dalla Royal Society.

Ma non potrà godere a lungo purtroppo di tali giusti e meritati riconoscimenti scientifici. Malus muore appena trentasettenne nel 1812.

 

«Il numero di differenze potenziali contenute in questo gessetto - scrive Gregory Bateson - è infinito, ma pochissime diventano differenze efficaci, cioè informazioni, nel processo mentale di una qualche entità più ampia. L’informazione consiste in differenze che producono una differenza.»

Il singolo organismo, l’individuo, le grandi società individuano tra le infinite differenze esistenti in ogni parte del reale solo alcune differenze per loro rilevanti e su queste costruiscono la mappa dell’ambiente, la mappa di risposte alle diverse situazioni e a volte su di esse costruiscono teorie.

Evidentemente non tutte le mappe offrono un’eguale garanzia di attendibilità e di efficacia.

Una teoria massimamente attendibile è quella che ha caratteristiche simili a quella di Etienne Malus, quando cioè risponde a un criterio fondato sulla confutabilità: oltre ad asserire qualcosa, tale teoria offre la possibilità concreta, effettiva, di una sua eventuale confutazione, e contemporaneamente resiste a tutti i vari tentativi messi fino a quel momento in atto per confutarla.

A un livello di attendibilità minore possono essere collocate le raccolte di dati che presentano caratteristiche di molteplicità delle fonti e di rigorosità delle osservazioni.

Ancora inferiore attendibilità hanno le leggi generali formulate per induzione da una base ampia di dati e di osservazioni, leggi che tuttavia al momento attuale non sono ben controllabili.

Al di sotto di questo livello ci sono le ideologie, le prescrizioni di comportamento, i principi variamente motivati, i rituali, che formano mappe, strutture organizzate sopra i valori che in un certo periodo storico predominano presso una popolazione; essi fissano a livello sociale e morale e religioso nella psicologia individuale e collettiva un certo tipo di “senso comune”, un modo di pensare, un modello di relazioni, di rapporti con la natura, di entrare in un tempio e di prestare rispetto alla divinità o di entrare in contatto con l’altro sesso.

Le credenze magiche, religiose, le teorie scientifiche sono tutte mappe del reale, che hanno maggiore o minore attendibilità ed efficacia e traducono differenze in altre differenze.

La scienza, scrive Bateson, è «un modo di percepire e di dare per così dire “senso” a ciò che percepiamo. Ma la percezione opera solo sulla differenza. Ricevere informazioni vuol dire sempre e necessariamente ricevere notizie di differenza.»

Tale caratteristica accomuna la scienza alle ideologie, le teorie fisiche alle credenze più varie, come quelle legate ai rituali magici.

In ogni mappa si trasferiscono differenze in differenze: in una mappa geografica sono differenze di quota, di vegetazione, di struttura demografica, di superficie. Nel mondo della comunicazione, dell’organizzazione, e in quell’ambito vasto, culturale in cui è possibile includere sia le teorie scientifiche sia i rituali magici e religiosi, l’operazione essenziale è la rappresentazione di differenze mediante differenze, la costruzione di mappe.

“L’unità che presenta caratteristiche di funzionamento per tentativi ed errori sarà legittimamente chiamata sistema mentale.”

Sistema mentale, mappa, territorio sono dunque i concetti di riferimento.

 

da PER UN'ECOLOGIA DELLE RELAZIONI Paolo Borsoni Alta Via

 

(Gregory Bateson "Mente e Natura"

Alfred Kroeber "Antropologia"

Paolo Borsoni "Lo strano caso del dottor Malus",in "Sapere"  n. 929, Roma

Paolo Borsoni "Ricerca di ecologia della comunicazione" Ianua editrice, Roma)

 

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