FRAGILITA'

da  "PER UN'ECOLOGIA DELLE  RELAZIONI"  Paolo Borsoni - Alta Via  2021

 

“L’individuo può avere esperienza di se stesso come di una cosa viva, reale, intera, differenziata dal resto del mondo, in circostanze ordinarie, tanto chiaramente da non mettere mai in dubbio la propria identità e la propria autonomia; un’autonomia continua nel tempo; dotata di coerenza interna, di sostanzialità, di genuinità e di valore; spazialmente identica al proprio corpo e, di solito, come qualcosa che ha avuto inizio con la nascita, o approssimativamente con essa, e che si estinguerà con la morte. Tutto questo rappresenta il solido nucleo della sicurezza ontologica”.

(Ronald Laing)

 

Un individuo intimamente dotato di un solido nucleo di sicurezza ontologica riesce a mantenere continuità, linearità nelle azioni e nelle situazioni più complesse, senza oscillazioni, senza divenire preda della disperazione. La sicurezza dell’io, indipendente dal giudizio sociale, dal bisogno di riconoscimenti, di gratificazioni, è un elemento cruciale dell’equilibrio personale.

La sicurezza dell’io, che si costituisce nel profondo di una persona, rende stabili le interazioni sociali e psicologiche.

È per questo che la disconferma ha un’importanza decisiva nella vita psicologica personale: incide nella problematica più profonda della sicurezza ontologica dell’io.

Quando il senso di sicurezza dell’io è carente, ovvero quando è intensa la fragilità dell’io, si afferma una ricerca di interazioni sostitutive, di relazioni che colmino e risolvano tale fragilità. Il bisogno permanente di rassicurazione si rovescia in una continua instabilità. La ricerca di interazioni sostitutive diviene il fattore per la stabilità di sistemi interpersonali caratterizzati dalla progressiva distruttività con la quale i singoli interlocutori si contendono gli spazi di esistenza e di comunicazione. Un tale sistema di relazione è caratterizzato da rifiuti, impenetrabilità, squalifiche, disattenzione. Rispetto a una catastrofe psicologica personale, secondo aspettative di solito irrealistiche, meglio una guerra di posizione senza fine, un conflitto irreversibilmente distruttivo.

La presenza dell’altro consente l’autoidentificazione in un determinato ruolo: il sofferente, il migliore, il benefattore, la madre che sopporta il peso della famiglia… In questo sistema sclerotizzato, che ha un proprio copione di funzionamento, ciascuno degli elementi del sistema fossilizza il proprio essere, il proprio ruolo. Dalla somma dei singoli bisogni di rassicurazione dovrebbe venire una sicurezza comune. Se fallisce il tentativo di trovare nell’altro lo specchio attraverso il quale vedere riflessa e confermata l’immagine che si è scelta, sempre più invadente è la frustrazione. Attraverso l’identificazione in un ruolo nel sistema, il sé si costituisce in un insieme di funzioni, che danno ordine alle scelte, alle decisioni in maniera indipendente dalla contingenza e dalla complessità dei singoli eventi. Demandare a un ruolo nel sistema la sicurezza psicologica dell’io incanala le possibili critiche sulle scelte verso una struttura oggettiva di riferimenti esterni. Il bisogno di sicurezza viene a essere meno impellente, le azioni sono legittimate da procedure fissate a priori.

L’eccesso di bisogno di sicurezza dell’io impone di tenere continuamente sotto controllo l’ambiente che circonda. Questo bisogno di controllo può esprimersi in forme ossessive, in rituali quotidiani oppure nella ricerca delle precauzioni su tutti i possibili sviluppi che potrebbero realizzarsi o nella riduzione drastica delle esperienze e dei contatti con l’esterno. Le stesse abitudini, lo stesso ambiente di sempre, i processi consolidati danno continuità a un io fragile. La coazione a ripetere le stesse relazioni, le stesse situazioni, definisce il gioco senza fine, il circolo vizioso della comunicazione caratterizzato da una continua ripetizione del conflitto all’interno del sistema.

L'attaccamento alle cose, alla persona, all’altro è una forma di questo bisogno abnorme di sicurezza dell’io. Attraverso l’attaccamento abnorme si costituiscono l’identità e la continuità dell’io. Tanto più forte è il bisogno di sicurezza dell’io, tanto più esso funziona da fattore normativo di sentimenti, desideri, scelte, progetti, azioni. Si tralascia allora di conseguire ciò che si pensa veramente; i desideri, le idee, i sentimenti cessano di costituire i termini di riferimento del comportamento. L’apparenza diviene il punto cruciale attraverso il quale trasformare la vita in una continua rappresentazione, dove importanti sono i ruoli, le impressioni, i giudizi sociali, e dove è del tutto secondario il contenuto delle comunicazioni, la verità o la falsità delle affermazioni, l’assurdità o il senso delle azioni, la loro futilità o essenzialità. Agire è fine a se stesso, come il comunicare che garantisce comunque un legame, un processo di interazione nel sistema.

Tutto ciò sconfina nel vivere nelle fantasie, nelle paure, nelle ossessioni, dove l’apparenza si confonde con la realtà, la finzione con il sogno. L’insicurezza dell’io produce stati patologici di paura, forme di mentalità morbosa e apprensiva, aggressività, espressioni comuni di un elemento di fondo: l’esorcizzazione della fragilità dell’io.

La sottomissione preventiva può costituire una soluzione per evitare conflitti, pericoli, con una disposizione accondiscendente in qualsiasi rapporto, anche di fronte a riduzioni drastiche della libertà personale e all’annullamento completo dell’individualità. La sicurezza dell’io richiede di evitare contrasti, in particolare con l’autorità. Tanto più si è sottomessi, tanto più si è sicuri. La sottomissione preventiva garantisce il non-conflitto con l’altro dominante. La sottomissione preventiva è uno scusarsi, uno sminuirsi, un limitare le esperienze conflittuali e di confronto. La sottomissione è il compromesso, la mediazione, che divengono la regola di ogni contatto sociale. Il problema di fondo è ottenere comunque l’approvazione. Nella sottomissione, le azioni si costituiscono attraverso ciò che pensa, vuole, impone l’autorità o la maggioranza, in un reiterato processo di ripetizione di qualcosa detto e pensato da altri, qualcosa scelto da qualcuno cui ci si è sottomessi più o meno apertamente. L’insicurezza dell’io sceglie l’isolamento, l’essere soli, e fa da sfondo all’adeguamento alla volontà dominante, ai riti sociali, al potere.

La problematica dell’insicurezza dell’io affonda le sue radici nell’ansietà di base che il bambino prova nel suo primo approccio all’ambiente esterno, con la sensazione di essere impotente, in balia di un potere sovrastante; questa ansietà è tanto più essenziale quanto più si sviluppa in un ambiente effettivamente innervato da ostilità e da instabilità. Le tattiche con le quali il bambino fa fronte a questa ansia di base determinano le coordinate della sua futura problematica di fragilità e di insicurezza dell’io. Una vasta serie di fattori ostili può trasformare il mondo, l’ambiente, in un luogo difficile: sono di questo tipo situazioni caratterizzate da un’autorità segnata dall’arbitrio, da una freddezza che sconfina nell’indifferenza, da un’instabilità di comportamenti e di sentimenti, dalla mancanza di rispetto, da un'assenza di vera solidarietà familiare, da continui atteggiamenti denigratori, dalla carenza di genuinità e di cordialità nelle relazioni familiari, dal dover parteggiare durante i dissidi dei genitori. Vivere in sistemi familiari segnati da questa insicurezza strutturale porta al consolidarsi di contraddizioni, ambiguità, sentimenti, disposizioni psicologiche segnate da un unico comune denominatore: la fragilità dell’io.

L’insicurezza più profonda può essere ricondotta a un sistema di interazione la cui regola è la disconferma dell’altro, un sistema segnato da squalifiche, dal mettere continuamente e sottilmente in dubbio la validità e la sincerità dell’altro. Tali esperienze segnano lo stato psicologico individuale, creano problemi di disorientamento nella complessità dei rapporti sociali. La paura, la sensazione di essere continuamente sotto giudizio, coinvolto in un conflitto di relazione, induce a mettere in campo manovre, operazioni di sicurezza, trasformano comportamenti in fobie, ossessioni, opportunismi. Quella sicurezza dell’io di cui si sente la mancanza e contemporaneamente un bisogno assoluto induce a affondare in un sistema patologico di impulsi e desideri.

La personalità segnata dalla fragilità dell’io vive l’esperienza del rapporto con l’altro in maniera problematica: l’attenzione è rivolta ai minimi risvolti del contatto. Un individuo segnato dalla fragilità dell’io si sente permanentemente sottoposto a un giudizio, sotto esame, si pone sulla difensiva, deve tentare sotto controllo tutti coloro che lo circondano e con i quali si confronta.

La paura intacca lo stesso processo cognitivo: la percezione del reale viene distorta, deviata da motivazioni emotive. La mancata acquisizione di un’autonomia di giudizio sulla realtà esterna rende incapaci di discernere ciò che è reale da ciò che è pura immaginazione.

La stessa percezione del reale può venire utilizzata come merce di scambio e terreno di scambio nel rapporto con gli individui dominanti nel sistema.

In tal caso si danno le condizioni per uno sviluppo di una personalità segnata dalla fragilità, da un'insicurezza di fondo che intacca e innerva l’emotività e l’affettività.

 

A un livello del tutto diverso, sociale e antropologico, caricare di significato emotivo, relazionale, la percezione della realtà è una caratteristica di culti tribali, di superstizioni che trasformano oggetti, eventi, situazioni, sequenze di comportamento in feticci, in entità dotate di poteri e di razionalità. Attraverso questi processi simbolici, attraverso i rituali, tali ideologie danno un’anima ad oggetti, danno potere ad entità metafisiche, si rapportano ad esse come se fossero partecipi di una razionalità, di un'affettività, della stessa vita del sistema. In tal caso ciò che conta è il potere che tali enti esercitano sulla vita degli esseri umani. La rappresentazione antropomorfica di questi oggetti conferisce loro una razionalità e un’emotività, che permettono di decodificare l'incomprensibilità dell'ambiente, l’ignoto del futuro, l’insicurezza. Queste rappresentazioni ideologiche e simboliche determinano un contatto e una comunicazione, creano un rapporto, pongono le basi per una contrattazione, condizionano, accrescono le probabilità dell’avverarsi di determinati eventi, annullano l’eventualità di altri, aumentano il senso di sicurezza dell’essere nel mondo.

 

Il filo di razionalità che lega le situazioni descritte da Ronald Laing e Aaron Esterson in “Normalità e follia nella famiglia” è il "sacro" terrore dello scandalo, del pettegolezzo, di quello che poteva dire e pensare la gente. La paura, i sogni paranoici, il male dietro l’angolo, gli altri e il loro continuo giudicare, criticare, costituiscono l'orizzonte di senso e il motivo conduttore delle vicende quotidiane. Il controllo della libertà si realizza come in un Panopticon nella rete di osservazione e di critica costruita sopra la norma dominante. Questa prospettiva trasforma la facciata esteriore nel fattore essenziale di relazione, con una frattura sedimentata tra ciò che si è e quello che si sembra, tra realtà e apparenza, tra comunicazione e realtà. L’apparenza costituisce l’elemento cui ricondurre l’esistente. Quello che conta è apparire in una maniera conforme alle aspettative di benessere, di felicità, di potere, di successo, di moralità, di onorabilità.

Nella paura reale, nel timore naturale, il rapporto di una persona con il suo ambiente è rivolto ai fattori concreti che in quel momento minacciano l’integrità fisica. Nell’ansia nevrotica il rapporto con la realtà e mediato dagli altri, dal loro giudizio, dalle norme dominanti, dai rituali usuali e comuni. Si realizza allora un contatto con la realtà solo attraverso questo filtro di giudizio e di critica. In questo ambito il contatto viene condizionato dall’ansia, dalla razionalità in funzione delle aspettative sociali. Il comportamento non è più diretto all’obiettivo, ma deviato dal giudizio sociale. Il baricentro si sposta dal sé a un punto esterno, fuori del sé, il soggetto non agisce per sé, ma per gli altri, per l’altro. Tutto ciò emerge in maniera particolare ed eclatante in condizioni di difficoltà dell’io. Allora il riferimento decisivo è l’approvazione sociale, la ricerca di un accordo con le norme, con i modelli di comportamento dominanti, con una mediazione al di là di ogni reale bisogno. L’ansia collegata all’aspettativa di un giudizio sfavorevole su ciò che si sta realizzando può divenire fonte decisiva di riferimento: l'attenzione non è concentrata su ciò che accade nella realtà, ma su quanto potrebbero pensare al riguardo le persone dominanti. L'attenzione non è focalizzata su quanto è reale, ma su quanto è socialmente atteso. Attraverso questa struttura di aspettative e di valutazioni sulle aspettative si stabilizza, si consolida, un’uniformità culturale, uno standard che la maggioranza usa per giudicare ciò che è normale e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è “sano” da ciò che è “ malato”.

Questa configurazione di scelte costruisce una determinata rete di potere e di autorità. Allorché il comportamento si plasma e si conforma non più al riconoscimento reale di ciò che è ma alle norme fissate arbitrariamente per giudicarlo, non è più tanto importante il contenuto delle singole azioni e delle singole decisioni, ma la concordanza di tali azioni e decisioni con il modello culturale dominante.

Il bisogno di approvazione sociale è l'antitesi dell’interesse reale per una persona, per una cosa, per una scelta. La linea dell’autenticità viene spezzata, i sentimenti sono repressi, nascosti, in quanto non risultano socialmente attesi, in una trappola di comunicazioni che incidono sulla struttura psicologica più profonda dell’io.

Se importante, essenziale non è il contenuto reale delle scelte, dei comportamenti, ma la loro adeguatezza alla norma dominante, al giudizio dominante per l’approvazione sociale allora qualsiasi cosa può essere realizzata, qualsiasi scelta può essere compiuta.

Vivere all'ombra dell'altro dominante, agire per adeguarsi al volere di altri, coincide con la fine di ogni possibilità di un’identità autonoma. La persona spende le proprie energie per ammansire, per omaggiare, per guadagnare un giudizio positivo; il comportamento è volto non a realizzare una possibilità personale, non ad entrare veramente in contatto con il se stesso agente, non ad esprimere le proprie potenzialità.

L’esagerato bisogno di approvazione sociale crea una situazione di estrema vulnerabilità e di fragilità dell’io. Gli altri divengono il punto di riferimento da cui dipendono gratificazione, rassicurazione, sicurezza. Nel momento in cui si assegna agli altri la possibilità di una valutazione decisiva sulle proprie scelte, sul proprio modo di essere, si è del tutto vulnerabili, ogni difficoltà prostra, ogni critica diviene decisiva, esiziale.

Nel bambino la progressiva definizione dell’io e dell’autoconsapevolezza delle capacità, del proprio valore, dipendono dalle risposte delle figure dominanti del sistema familiare. Tali figure parentali con la loro disapprovazione, con i loro rifiuti, inibiscono certe azioni e ne promuovono altre. Il bambino fa proprie le norme dominanti attraverso un processo di evitamento della punizione e della disapprovazione. Un aspetto decisivo di questa dinamica sistemica si realizza allorché la disapprovazione viene caricata di un significato emotivo, affettivo, quando si determina la sovrapposizione tra il piano della realtà e il piano delle emozioni. Questa problematica è tanto più decisiva, quanto più esiste una rigidità all’interno del sistema familiare con la volontà degli adulti dominanti di indirizzare completamente la vita di ciascuno nel sistema, fino al modo stesso di pensare di ciascun individuo del sistema familiare, in un processo di sovradeterminazione coercitiva della personalità. Un’impotenza appresa è il risultato di tali comportamenti, di comunicazioni che indeboliscono l’individualità e la sicurezza dell’io. La necessità di differenziarsi, di conquistare un’autonomia personale si scontra con la necessità di non perdere la sicurezza emotiva e affettiva, che viene continuamente resa instabile da una contrattazione in funzione del comportamento. La personalità si scinde tra il bisogno di conquistare una propria identità e la necessità di conservare la sicurezza dell’io, tra la continuità dell’essere al mondo e la stabilità delle relazioni nel sistema familiare.

Se questi modelli di comunicazione e di relazione divengono i punti di riferimento essenziali del sistema familiare, il bisogno di indipendenza e di definizione dell'io si traduce in un conflitto perenne e sotterraneo, l’affermazione progressiva di un io personale si costituisce come una competitività sempre più accesa, in un rifiuto, nella contrapposizione. D'altra parte il bisogno di sicurezza dell’io si trasforma in una dipendenza nevrotica dall’approvazione sociale, con un attaccamento a rapporti consolidati e nocivi. Da una parte c’è la disposizione ad affermare e a definire un io personale dall’altra la paura della critica per i propri comportanti autonomi, con la sostanziale perdita della capacità di desiderare sinceramente qualcosa, perché i desideri vanno in direzioni divergenti, inconciliabili, e questa contraddittorietà non riesce a sciogliersi in una linea coerente di scelte e di scopi. Scegliere risulta impossibile, la situazione è simile a quella di chi al centro di un crocicchio di vie con tante strade aperte e percorribili, non sa più avanzare in alcuna direzione, perché non riesce ad assumere alcuna meta personale.

 

Scrive Ronald Laing:

“Il padre e la madre della paziente ci rivelano oggi, senza possibilità di equivoco, che ciò che essi considerano soprattutto come sintomo di malattia è ciò che noi invece consideriamo come normale sviluppo della personalità, realizzazione di sé, autonomia, spontaneità; e per loro stessa testimonianza, tutto sta a indicare che anche nel passato è stato così. Questi genitori hanno sentito come problema, non già la perdita, ma lo sviluppo dell’io della paziente...

A giudizio del padre i guai cominciarono quando Mary aveva quindici anni. La ragazza era sempre stata molto sottomessa, compiacente, ma ora aveva cominciato a mettere in discussione l’autorità dei genitori, a mostrare mancanza di rispetto nei loro confronti, insomma, ad assumere, un atteggiamento di sfida…

A giudizio della madre tutto andava nel migliore dei modi finché Mary non cominciò ad allontanarsi dai genitori, divenne egoista, ribelle, troppo piena di sé, sfacciata”.

La trasformazione che si realizza nel passaggio dal bisogno assoluto di sicurezza dell’io all’autonomia emotiva e affettiva, dal tempo della simbiosi al distacco, stabilisce le coordinate per lo sviluppo dei caratteri precipui dell’io, le specifiche modalità con le quali l’io reagirà alle situazioni problematiche, alle difficoltà esistenziali. Tale dinamica ha il proprio centro esplicativo in un processo di differenziazione.

Per coloro che nel sistema coprono i ruoli dominanti a volte è arduo riconoscere la ricerca dell’autonomia dei soggetti che finora erano in una quieta posizione di subalternità, e questo anche in aspetti ovvi della vita: punti di vista, desideri, bisogni personali. Anche queste semplici, innocue differenze possono venire caricate di significati emotivi, di ricatti affettivi, fino a bollarli come cattiveria, egoismo, ribellione, sfacciataggine, testardaggine e nelle situazioni più estreme: malattia mentale. All’individuo subordinato nel sistema si impedisce di vivere la sua vita personale, di avere le proprie idee autonome, di realizzare e definire il proprio io.

Lui stesso può acquisire progressivamente timore di esprimersi, di esternare i propri desideri e le convinzioni personali. In determinati sistemi relazionali, il controllo sullo sviluppo dell’io può spingersi talmente in profondità da compromettere o addirittura distruggere le capacità essenziali di azione, di pensiero, di decisione, di scelta con un progressivo indirizzamento esaustivo di guida totalizzante in ogni campo fino all’interpretazione stessa della realtà, di ciò che è reale e di ciò che è solo immaginazione, di quanto si può e si deve pensare e volere e di quanto bisogna evitare.

La chiusura del sistema, in particolare del sistema familiare, costituisce il punto decisivo per impedire l’acquisizione di una sicurezza dell’io e quindi ne definisce la fragilità strutturale.

Si può sciogliere, in maniera abnorme, il nodo delle tensioni che sorgono in una dinamica sistemica che mina la sicurezza dell’io scindendosi tra un io esterno che esprime condiscendenza e un io interno permeato di ostilità e aggressività. Una condizione simile vede l’individuo spaventato dal conflitto e nello stesso tempo impegnato a negare, a contrastare questa sua disposizione mentale di sottomissione.

Con l’insicurezza e la fragilità dell’io si determinata la risposta del distacco, dove il confronto-conflitto con l’altro viene sostituito dalla separazione, dall'allontanarsi, dal rinchiudersi in una fortezza inaccessibile. E tanto più generale diviene questa scelta di separazione, tanto più allora nulla può essere fatto, nulla può essere deciso, nulla può essere scelto: ogni comportamento esprime la stessa assenza di significato, la stessa valenza di una sconfitta già annunciata. L’individuo si sente impotente e non sa nemmeno avere desideri diversi, non sa ribellarsi alle decisioni e alle situazioni che condizionano negativamente il suo io, ma sente questo processo come la propria fine. C’è un gioco relazionale troppo forte in queste dinamiche sistemiche, per cui le uniche alternative sono di accettare l’umiliazione o di umiliare.

Tali comportamenti si sviluppano in situazioni che vedono gli adulti significativi esprimere una continua duplicità di atteggiamenti: una compiacenza affiancata da un odio sotterraneo, una disponibilità di facciata che cela un disprezzo di fondo, un’impotenza segnata da un esorbitante bisogno di potere, di condizionare, di fare assumere all'altro le proprie decisioni per verificare ancora una volta la sua subordinazione.

Queste dinamiche psicologiche creano atmosfere di falsità, di confusione, di mistificazione, e al fondo di fragilità e di insicurezza dell’io. Allorché non c'è soluzione al conflitto tra sottomissione e aggressività, tra dipendenza e falsità, tra amore e odio, tra dipendenza e autonomia, sentimenti opposti vanno di pari passo e si combinano e coesistono nello stesso rapporto con l'altro. Ogni sentimento perde valore e significato.

L’individuo che nel proprio sviluppo dell'io ha subito queste dinamiche relazionali, divenuto adulto, le rivive quando si confronta con persone che nei suoi confronti assumono un ruolo dominante: la primordiale condizione di sottomissione permeata di aggressività inespressa, di ansia di fronte al giudizio dell’autorità ripercorre le modalità di espressione dell’aggressività individuale che risultano deteriorate, distorte. L’aggressività viene inibita fino a essere neutralizzata la stessa capacità di difendersi in situazioni in cui viene posta realmente in pericolo la personalità.

Attraverso discredito, squalifiche, attacchi destabilizzanti, l’aggressività si tramuta in forme abnormi di distruttività, odio, sadismo.

Nella persona che mantiene una duplicità di comportamenti e di disposizioni psicologiche, nasce un contrasto di fondo tra un’apparente sollecitudine e un’effettiva mancanza di interesse verso l’altro, tra un atteggiamento di sfiducia profonda e un’implicita tendenza a disporre degli altri con il bisogno di eccellere, di umiliare, di vendicarsi.

Un bisogno nevrotico di approvazione, di affetto è l’alter ego di un’aggressività sotterranea. Tali ambivalenze determinano uno stato di perenne instabilità dell’io, di ansia, di insicurezza, con l’accumulo di collera repressa, di rabbia verso gli altri e verso se stessi per la propria mancanza di assertività con un rovesciamento verso l'interno, verso lo stesso io personale, che non si riesce a definire e a realizzare, la distorsione dell’aggressività. È l’ultimo atto della subordinazione, della limitazione profonda dell’essere al mondo con la fragilità strutturale dell’io.

 

da PER UN'ECOLOGIA DELLE RELAZIONI   Paolo Borsoni  Alta Via

 

BIBLIOGRAFIA

Gregory Bateson “Verso un’ecologia della mente” Adelphi

Gregory Bateson “Mente e natura” Adelphi

Ronald Laing “L’io e gli altri” Einaudi

Ronald Laing “L’io diviso” Einaudi

Ronald Laing “Mistificazione, confusione e conflitto” Eianudi

Ronald Laing, Aaron Esterson “Normalità e follia nella famiglia” Einaudi

Paul Watzlawick “Pragmatica della comunicazione umana” Astrolabio

Paul Watzlawick “Change” Astrolabio

 

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