GIOVANNI PASCOLI - l'ora
di Barga – Alberto Lupo
Al mio cantuccio, donde
non sento
se non le reste brusir
del grano,
il suon dell'ore viene
col vento
dal non veduto borgo
montano:
suono che uguale, che
blando cade,
come una voce che
persuade.
Tu dici, E` l'ora; tu
dici, E` tardi,
voce che cadi blanda
dal cielo.
Ma un poco ancora
lascia che guardi
l'albero, il ragno,
l'ape, lo stelo,
cose ch'han molti
secoli o un anno
o un'ora, e quelle nubi
che vanno.
Lasciami immoto qui
rimanere
fra tanto moto d'ale e
di fronde;
e udire il gallo che da
un podere
chiama, e da un altro
l'altro risponde,
e, quando altrove
l'anima è fissa,
gli strilli d'una
cincia che rissa.
E suona ancora l'ora, e
mi manda
prima un suo grido di
meraviglia
tinnulo, e quindi con
la sua blanda
voce di prima parla e
consiglia,
e grave grave grave
m'incuora:
mi dice, E` tardi; mi
dice, E` l'ora.
Tu vuoi che pensi
dunque al ritorno,
voce che cadi blanda
dal cielo!
Ma bello è questo poco
di giorno
che mi traluce come da
un velo!
Lo so ch'è l'ora, lo so
ch'è tardi;
ma un poco ancora
lascia che guardi.
Lascia che guardi dentro
il mio cuore,
lascia ch'io viva del
mio passato;
se c'è sul bronco
sempre quel fiore,
s'io trovi un bacio che
non ho dato!
Nel mio cantuccio
d'ombra romita
lascia ch'io pianga su
la mia vita!
E suona ancora l'ora, e
mi squilla
due volte un grido
quasi di cruccio,
e poi, tornata blanda e
tranquilla,
mi persuade nel mio
cantuccio:
è tardi! è l'ora! Sì,
ritorniamo
dove son quelli
ch'amano ed amo.